giovedì 12 febbraio 2009

Ogni economia crea opportunità ed emarginazioni: ospitare i deboli e i piccoli in (per) un’economia di giustizia

Di chi è la terra?
Capitalismo e comunismo sono le due risposte principali che gli uomini hanno dato al quesito nell’era contemporanea, con risultati e successi ben differenti. La terra è dei singoli uomini recita il credo del capitalismo. La terra è della collettività ribattono i comunisti. La storia ha dato più successo ai primi e ha decisamente sconfitto i secondi.
Tutti però abbiamo anche capito che la realtà individuale e privata non può essere sempre un valore assoluto e che in alcuni momenti, per alcune emergenze ma anche per alcuni obiettivi positivi, c’è un interesse collettivo, di bene comune, che sorpassa il diritto e il bisogno del singolo (può essere una guerra, una calamità naturale ma anche la necessità di creare strutture collettive come le strade o un ospedale, una scuola …).
L’affermazione precisa della Bibbia è che la terra appartiene a Dio.
Possiamo tradurre questa espressione con: la terra è affidata all’umanità intera?
Se consideriamo questa opzione vuol dire che andiamo in cerca di una soluzione di giustizia universale, per tutti gli uomini; vuol dire che perseguiamo una equa distribuzione dei beni su base planetaria e non regionale, nazionale o continentale. In questa prospettiva la “globalizzazione” dei problemi e dei mercati possono essere una strada verso una società più equilibrata e felice?
Cosa possiamo fare per cercare di estendere la condizione dell’aria (disponibile per ciascuno in quantità sufficiente per il suo bisogno) anche agli altri beni?

Ereditare la terra.
Già leggendo la storia di Isacco e Ismaele abbiamo visto come la questione patrimoniale crea “l’altro”, il “diverso” e in ultima analisi lo “straniero”. Qui Mosè/Israele prende coscienza che un eccesso di patrimonio genera ingiustizia e perciò prova ad introdurre il meccanismo del giubileo (mai realmente applicato) come correttivo.
Il problema è complesso e ha varie sfaccettature.
Possiamo provare ad attualizzare il tema concentrandoci sul capitolo eredità.
È buona cosa che i genitori passino i loro beni ai figli. Tuttavia nel caso di “grandi patrimoni” questo genera condizioni di ingiustizia palese perché si tratta di beni “non meritati” né “conquistati”, che spesso vengono pure utilizzati male, in qualche caso con ricadute sociali pesantemente negative (come nel caso di gestioni aziendali affidate a figli non competenti).
La legislazione sociale degli stati del novecento ha pesantemente tassato le eredità con l’intento di correggere questo stato. In un passato recente si è intervenuti per alleggerire le tasse sull’eredità. Quale può essere un giusto rapporto tra eredità e giustizia?

Beati i poveri
Ogni sistema economico mira a creare stabilità, sicurezza e benessere; insegna ad essere prudenti e a costruire con costanza la prospettiva di un futuro senza sorprese. Il vangelo afferma invece esplicitamente “beati i poveri”. Come dire che la condizione della felicità è data dalla povertà dei beni, dalla precarietà delle condizioni, dall’insicurezza del futuro. Questo rovesciamento di prospettive, benché molto predicato non trova riscontro nelle proposte ecclesiali se non forse nelle esperienze di piccole comunità o degli ordini monastici.
Come si può coniugare seriamente questo insegnamento?
Possiamo pensare ad una religione che predicando il distacco dalle cose si fa paladina realmente della realizzazione del bene comune e del superamento dell’individualismo (esasperato) nel quale ci ha rinchiuso un “eccesso di capitalismo”?

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