mercoledì 22 ottobre 2008

responsabilità e peccato originale

Questa pagina non è del tutto frutto di riflessioni mie, ma una rielaborazione di alcuni capitoli del libro “Dio dove sei?” di Carlos Mesters.

Ciò che Dio vuole è Il Paradiso e questo è il bozzetto del mondo. Una tale pianta della costruzione del mondo Dio la consegnò all'uomo, suo impresario, affinché egli, con le proprie mani costruisse la sua felicità. L'uomo possedeva la possibilità reale: di vivere sempre ed essere immortale; di essere felice senza mai soffrire; di vivere in armonia con Dio senza mai peccare. Non solo ce l'aveva, ma ce l'ha, perché Dio non ha cambiato idea. Dio vuole ancora quel Paradiso. Tale Paradiso dovrebbe esistere. Con la sua descrizione l'autore di Genesi denuncia il mondo di cui ha esperienza. Ma noi ci poniamo la domanda:
"Ma perché, allora, il mondo è tutto il contrario di quello che dovrebbe essere? Chi è il responsabile?”.
Per quale ragione gli uomini abbandonavano quel progetto di vita? Il serpente li attraeva.
Il loro mondo potrebbe essere differente se non andassero dietro al serpente.
Adamo e Eva potrebbero chiamarsi: «un uomo e una Donna», per dire: tutti noi. Essi sono lo specchio critico della realtà che aiuta a scoprire in noi l'errore localizzato in Adamo ed Eva. E’ proprio inutile chiedersi: «perché dobbiamo soffrire noi per causa di un Uomo e di una Donna? ». Non si tratta di scaricare la colpa sugli altri, ma di arrivare a riconoscere: «Sono io che faccio questo! Io sono corresponsabile del male che esiste». L'Autore non è nostalgico: «Anticamente, tutto era così buono!». Egli vuole che tutti si scuotano, si sentano responsabili e aggrediscano il male alla radice, dentro di loro.
Vincere è sempre possibile, perché Dio lo vuole.
La descrizione dell'«origine del male» non si conclude con la catastrofe del “peccato originale”. La deviazione iniziale è appena il primo passo della disgrazia. Slegato da Dio, abusando della propria libertà contro Dio stesso, l'uomo si slega anche dal fratello: Caino uccide Abele; Caino rappresenta chiunque maltratta e uccide il fratello. La violenza si moltiplica spaventosamente fino a settantasette volte (Gen. 4, 24). Separatosi da Dio e dal fratello, l'uomo si mette sulla difensiva e cerca salvezza nella fuga, usando il rito e la magia (Gen. 6, 1-2). Finalmente, continuando di questo passo, l'umanità si impenna e si disintegra perché la convivenza e l'agire insieme diventano impossibili. (Torre di Babele).
Nonostante tutto, però, l'autore spera e predice la vittoria dell'uomo sul male, che viene dal serpente.
Responsabile di tutto è l'uomo. Per questo non gli è permessa la ribellione contro il male (qualunque esso sia) bensì la lotta per sconfiggerlo. Ha la missione e la capacità di farlo, perché Dio lo vuole. Il Paradiso esiste e continua a esistere come possibilità reale, dal momento che Dio non l'ha distrutto. Ha solo messo un angelo sulla sua porta, perché l'uomo non se ne impadronisca senza averne il diritto (Gen. 3, 24).
Il futuro resta aperto. L'autore afferma che Dio non ha abbandonato l'uomo, perché: «Dio fece loro un vestito» (Gen. 3, 21), protesse Caino (Gen. 4, 15), salvò Noè dal diluvio, causato dal male dell'uomo (Gen. 6, 9-9.17). Infine, quando la disintegrazione dell'umanità rese impossibile l'agire insieme, chiamò Abramo per raggiungere in lui tutti gli altri (Gen. 12, 1-2). Comincia allora la cosiddetta «Storia della Salvezza».
Un Paradiso in cui vi è perfetta armonia dovrebbe diventare realtà. E’ possibile costruire un simile futuro? Ci ripetiamo allora la stessa domanda, molto più difficile di tutte quelle che ci siamo fatte all'inizio: «Perché il mondo non è cosi? Che cos'è che gli impedisce di marciare verso il futuro? Chi ne è responsabile? Dove sta la causa? Che cosa fare per trasformare il mondo, dal momento che non è come dovrebbe essere?».
L'autore del racconto del Paradiso vuole portarci a formulare domande del genere, molto più serie e impegnative di tutte le domande della storia.
La descrizione del Paradiso terrestre è una confessione pubblica, un manifesto di resistenza, un grido di speranza, un invito alla trasformazione del mondo.
L'autore non dà «le prove» dell'esistenza di un «peccato originale». Verifica soltanto e cerca di determinare quale forma prese la deviazione al tempo suo. Non gli importa di elaborare una teoria del come entrò il male nel mondo, ma cerca una strategia per cacciarlo dal mondo. Il peccato attacca l'uomo alla radice, ma non annulla la sua capacità di fare il bene. Nella misura in cui il peccato personale cresce, facciamo esperienze del peccato originale: «mordiamo il frutto», facendo crescere in tutti coloro che vengono dopo di noi i mali di cui l'umanità è 'colpevole'.

Qual è un primo passo? Che l’uomo smetta di voler essere Dio e cerchi di essere uomo a immagine di Dio, consapevole che è altro da Lui e che proprio all’uomo Dio ha affidato ogni suo simile e il mondo.

don Claudio

giovedì 16 ottobre 2008

anche Dio è in "divenire"?

Penso che quando ci mettiamo ad affrontare questi temi la sensazione di inadeguatezza (La Bibbia direbbe nudità) colpisca tutti quanti.
Solo un ingenuo può sperare di riuscire a dare una spiegazione “definitiva” del senso delle cose e della vita. Queste (le cose e la vita) ci definiscono come persone ma non si lasciano comprendere fino in fondo da noi perché esistono da prima e continuano dopo di noi.
Allora si arriva inevitabilmente ad un punto della riflessione nel quale si apre davanti a noi un bivio.
Da una parte si buttano tutti coloro che preferiscono concludere che la mancanza di un senso definitivo non merita ulteriore indagine e pertanto è meglio vivere senza senso. Dall’altra vanno ad ammucchiarsi tutti coloro che pensano invece che, se un senso c’è questo non può che esserci “rivelato” da chi eventualmente lo detiene.
Entrambe le soluzioni prevedono una variegatissima sfaccettatura di possibilità teoriche e pratiche, ognuna delle quali ha una sua ragione e giustificazione.
Coloro che credono in Dio sono tra coloro che hanno fatto la scelta di “attendere una rivelazione”. Ci sono anche non credenti che si muovono in questa prospettiva ma che dichiarano di essere “in attesa” di una voce che però non è ancora venuta a spiegare loro le cose e la vita.
Tra i tanti che credono in un Dio che ha parlato agli uomini, molti si dicono cristiani, cioè affermano di credere in Gesù di Nazaret, Cristo di Dio, nato, vissuto, morto e risorto.
Costoro sostengono che Dio ha creato il mondo e ha dato vita agli uomini, con modalità e tempi che gli stessi uomini stanno ancora indagando
[1]; quello che i cristiani constatano (come tutti gli uomini) è che l’esperienza umana è un misto di bene e di male che in gran parte è riconducibile alle responsabilità dei comportamenti umani, ma non totalmente. Certamente le guerre, i furti, gli omicidi e tutti i soprusi e le cattiverie che non c’è bisogno di enumerare qui, risalgono direttamente alla nostra responsabilità. Per le malattie il discorso è già più complesso perché alcune possono essere indotte dai nostri comportamenti (es. il cancro ai polmoni dei fumatori) mentre altre sono assolutamente indipendenti (es. le malattie neurologiche). In alcuni casi ci sono malformazioni genetiche che accompagnano la vita intera di una persona ma la cui causa non è rintracciabile nel comportamento di nessuno. Infine vi sono una serie di “disgrazie naturali” imputabili appunto alla natura a prescindere dal comportamento umano, le cui conseguenze per l’uomo possono essere catastrofiche: terremoti, alluvioni, fulmini, valanghe …
Dare un senso a tutta questa complessità è il compito della “rivelazione” che molti uomini attendono e che i cristiani dicono essere completa in Gesù.
Gesù però non si è mai apertamente occupato del problema dell’origine del dolore e del male, del peccato e della morte. Ci sono due brani in cui di sfuggita sembra avvicinarsi al nostro tema.
Il primo è l’episodio del cieco nato (Gv 9): “«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio”. Questa risposta può prestarsi a diverse interpretazioni compresa quella tremenda di un Dio che permette il male per potersi manifestare potente! Se anche concediamo all’autore l’intenzione invece di aver voluto togliere a Dio la responsabilità di quella malattia genetica per sottolineare invece la sua capacità di intervenire positivamente a risolverla, ci si chiede perché quel cieco sì e tanti altri no; perché solo qualche decina di persone dei milioni di pellegrini malati e animati dalla fede che visitano Lourdes sono stati miracolati? Anche Gesù dunque sembra constatare che c’è un male dentro ad un mondo imperfetto : non si interroga sull’origine del male ma prova ad indicarci il senso del mondo.
L’altro episodio è nel vangelo di Luca al cap. 13: “In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»”. Qui il dolore ingiusto è associato da Gesù al tema della conversione. Ancora una volta Gesù non si volta indietro ad indagare l’origine e la causa ma guarda avanti per indicare un atteggiamento di salvezza.

Se neanche Gesù ci aiuta a risolvere la nostra domanda, ci rimane solo la nostra riflessione razionale.
Allora mi chiedo se il concetto di “evoluzione” non possa essere applicato allo stesso Dio che conosce in effetti una dinamica interna(evoluzione) per il solo fatto di essere uno e trino e di aver addirittura incarnato (cioè temporizzato e localizzato) il figlio. D’altra parte noi stessi sperimentiamo l’evoluzione non solo come male ma spesso come bene; penso per esempio agli aneliti che ci fanno desiderare il meglio o alla tensione positiva dell’innamoramento. Se così è, l’evoluzione del mondo con tutto quello che ciò significa (compresi terremoti e catastrofe naturali) non devono essere imputati alla colpa (originale) dell’uomo ma alle caratteristiche essenziali della creazione che non può che essere evolutiva. Dio ha creato un mondo in evoluzione (in questo senso imperfetto) e l’uomo ne è il meccanico che lo deve mettere a punto. Il peccato è confondere il ruolo di meccanico con quello di proprietario del mezzo: solo questo, non altro. La fatica e qualche volta il dolore del costruire, del pensare, dell’agire non sono una conseguenza del peccato ma una caratteristica della storia, della vita, della creazione. Forse l’espressione è impropria ma in questo senso si può parlare di una “responsabilità di Dio” per ciò che riguarda le disgrazie e le morti innocenti. Per questo non riesco ad immaginare se non un Dio che alla fine ricomprende tutto in sé, accoglie tutto il suo creato, lo riporta nel “suo seno” indipendentemente dal nostro aver ceduto alla tentazione di considerarci padroni del mondo.

Silvano

[1] Se la teoria evoluzionista è la più probabile diventa difficile dire quando è “nato” il primo uomo e soprattutto quando ha cominciato ad avere pensieri sufficientemente evoluti da poter diventare cosciente del mondo ed eventualmente di Dio. Ma anche se vogliamo ammettere un intervento creativo speciale per l’uomo inserito bell’e fatto in un mondo in evoluzione non è facile pensare all’uomo delle caverne con pensieri di relazione col divino e la coscienza di dover dominare la terra.

sabato 11 ottobre 2008

scheda: Ospitare il peccato e il senso di colpa - la condizione umana di fronte alla coscienza del male

“Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti” (Gn.2,17)

  1. Il primo tema che viene a galla con forza è quello della presunta onnipotenza di Dio.
    Il creatore fa un mondo inospitale in cui la creatura fatta a sua immagine e somiglianza, farebbe fatica a sopravvivere e perciò la colloca in una piccola porzione dell’universo, dotata dei comfort essenziali.
    Qual è il senso di questo agire di Dio?
    È davvero onnipotente nel senso di potere tutto?
    Se è così, perché crea in maniera imperfetta?
    Se Dio ospita l’imperfezione nel creato il peccato è “inevitabile” perché il peccato è parte ineliminabile dell’imperfezione.
  2. L’uomo non può fare a meno di desiderare la perfezione di Dio perché è fatto a sua immagine e somiglianza, ma non la può raggiungere perché altrimenti sarebbe Dio.
    Dio ha messo l’uomo in una condizione contraddittoria insuperabile: o si affida a lui, al suo comandamento oppure prova a cercare da sè il modo di completare la creazione. La prima soluzione implica la rinuncia a desiderare di essere come il creatore (il Padre); la seconda significa darsi regole e comportamenti indipendenti, potenzialmente e realmente conflittuali con i “desideri” di Dio.
    L’uomo ha scelto la seconda strada.
    Poteva scegliere diversamente?
    Poteva venir meno al desiderio di essere come Dio?
    Un uomo obbediente al “regolamento” del giardino soddisfa le condizioni minime di “immagine e somiglianza a Dio”, il soggetto che per definizione non obbedisce se non a se stesso?
    Essere ospiti nel giardino e somigliare a Dio non è contradditorio?
  3. Nudità, paura, vergogna.
    La prima conoscenza autonoma dell’uomo è quella della sua inadeguatezza di fronte alla complessità dell’universo. Ma queste sensazioni viaggiano di pari passo con la voglia di domare il mondo, traguardo possibile perché questo risulta prigioniero di regole che il pensiero umano può governare e in parte cambiare.
    Ma allora il peccato è solo “colpa” dell’uomo?
    La condizione di peccatore (cioè di soggetto che rinuncia all’obbedienza per poter partecipare all’azione di perfezionamento del mondo creato imperfetto da Dio) non è piuttosto una dimensione irrinunciabile dell’umanità?
    Senza peccato non potrebbe esserci umanità (cioè somiglianza a Dio senza uguaglianza a lui).
  4. Se l’uomo non può diventare Dio, ma solo somigliargli di più, allora una soluzione del conflitto inevitabile che oppone l’uomo a Dio non può che darsi nella possibilità che Dio si faccia uomo. Solo se Dio viene di qua possiamo finalmente essere uguali.
    La venuta di Gesù, ha risolto il conflitto?