giovedì 16 ottobre 2008

anche Dio è in "divenire"?

Penso che quando ci mettiamo ad affrontare questi temi la sensazione di inadeguatezza (La Bibbia direbbe nudità) colpisca tutti quanti.
Solo un ingenuo può sperare di riuscire a dare una spiegazione “definitiva” del senso delle cose e della vita. Queste (le cose e la vita) ci definiscono come persone ma non si lasciano comprendere fino in fondo da noi perché esistono da prima e continuano dopo di noi.
Allora si arriva inevitabilmente ad un punto della riflessione nel quale si apre davanti a noi un bivio.
Da una parte si buttano tutti coloro che preferiscono concludere che la mancanza di un senso definitivo non merita ulteriore indagine e pertanto è meglio vivere senza senso. Dall’altra vanno ad ammucchiarsi tutti coloro che pensano invece che, se un senso c’è questo non può che esserci “rivelato” da chi eventualmente lo detiene.
Entrambe le soluzioni prevedono una variegatissima sfaccettatura di possibilità teoriche e pratiche, ognuna delle quali ha una sua ragione e giustificazione.
Coloro che credono in Dio sono tra coloro che hanno fatto la scelta di “attendere una rivelazione”. Ci sono anche non credenti che si muovono in questa prospettiva ma che dichiarano di essere “in attesa” di una voce che però non è ancora venuta a spiegare loro le cose e la vita.
Tra i tanti che credono in un Dio che ha parlato agli uomini, molti si dicono cristiani, cioè affermano di credere in Gesù di Nazaret, Cristo di Dio, nato, vissuto, morto e risorto.
Costoro sostengono che Dio ha creato il mondo e ha dato vita agli uomini, con modalità e tempi che gli stessi uomini stanno ancora indagando
[1]; quello che i cristiani constatano (come tutti gli uomini) è che l’esperienza umana è un misto di bene e di male che in gran parte è riconducibile alle responsabilità dei comportamenti umani, ma non totalmente. Certamente le guerre, i furti, gli omicidi e tutti i soprusi e le cattiverie che non c’è bisogno di enumerare qui, risalgono direttamente alla nostra responsabilità. Per le malattie il discorso è già più complesso perché alcune possono essere indotte dai nostri comportamenti (es. il cancro ai polmoni dei fumatori) mentre altre sono assolutamente indipendenti (es. le malattie neurologiche). In alcuni casi ci sono malformazioni genetiche che accompagnano la vita intera di una persona ma la cui causa non è rintracciabile nel comportamento di nessuno. Infine vi sono una serie di “disgrazie naturali” imputabili appunto alla natura a prescindere dal comportamento umano, le cui conseguenze per l’uomo possono essere catastrofiche: terremoti, alluvioni, fulmini, valanghe …
Dare un senso a tutta questa complessità è il compito della “rivelazione” che molti uomini attendono e che i cristiani dicono essere completa in Gesù.
Gesù però non si è mai apertamente occupato del problema dell’origine del dolore e del male, del peccato e della morte. Ci sono due brani in cui di sfuggita sembra avvicinarsi al nostro tema.
Il primo è l’episodio del cieco nato (Gv 9): “«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?». Rispose Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio”. Questa risposta può prestarsi a diverse interpretazioni compresa quella tremenda di un Dio che permette il male per potersi manifestare potente! Se anche concediamo all’autore l’intenzione invece di aver voluto togliere a Dio la responsabilità di quella malattia genetica per sottolineare invece la sua capacità di intervenire positivamente a risolverla, ci si chiede perché quel cieco sì e tanti altri no; perché solo qualche decina di persone dei milioni di pellegrini malati e animati dalla fede che visitano Lourdes sono stati miracolati? Anche Gesù dunque sembra constatare che c’è un male dentro ad un mondo imperfetto : non si interroga sull’origine del male ma prova ad indicarci il senso del mondo.
L’altro episodio è nel vangelo di Luca al cap. 13: “In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù rispose: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo»”. Qui il dolore ingiusto è associato da Gesù al tema della conversione. Ancora una volta Gesù non si volta indietro ad indagare l’origine e la causa ma guarda avanti per indicare un atteggiamento di salvezza.

Se neanche Gesù ci aiuta a risolvere la nostra domanda, ci rimane solo la nostra riflessione razionale.
Allora mi chiedo se il concetto di “evoluzione” non possa essere applicato allo stesso Dio che conosce in effetti una dinamica interna(evoluzione) per il solo fatto di essere uno e trino e di aver addirittura incarnato (cioè temporizzato e localizzato) il figlio. D’altra parte noi stessi sperimentiamo l’evoluzione non solo come male ma spesso come bene; penso per esempio agli aneliti che ci fanno desiderare il meglio o alla tensione positiva dell’innamoramento. Se così è, l’evoluzione del mondo con tutto quello che ciò significa (compresi terremoti e catastrofe naturali) non devono essere imputati alla colpa (originale) dell’uomo ma alle caratteristiche essenziali della creazione che non può che essere evolutiva. Dio ha creato un mondo in evoluzione (in questo senso imperfetto) e l’uomo ne è il meccanico che lo deve mettere a punto. Il peccato è confondere il ruolo di meccanico con quello di proprietario del mezzo: solo questo, non altro. La fatica e qualche volta il dolore del costruire, del pensare, dell’agire non sono una conseguenza del peccato ma una caratteristica della storia, della vita, della creazione. Forse l’espressione è impropria ma in questo senso si può parlare di una “responsabilità di Dio” per ciò che riguarda le disgrazie e le morti innocenti. Per questo non riesco ad immaginare se non un Dio che alla fine ricomprende tutto in sé, accoglie tutto il suo creato, lo riporta nel “suo seno” indipendentemente dal nostro aver ceduto alla tentazione di considerarci padroni del mondo.

Silvano

[1] Se la teoria evoluzionista è la più probabile diventa difficile dire quando è “nato” il primo uomo e soprattutto quando ha cominciato ad avere pensieri sufficientemente evoluti da poter diventare cosciente del mondo ed eventualmente di Dio. Ma anche se vogliamo ammettere un intervento creativo speciale per l’uomo inserito bell’e fatto in un mondo in evoluzione non è facile pensare all’uomo delle caverne con pensieri di relazione col divino e la coscienza di dover dominare la terra.

2 commenti:

  1. Il fatto che molti pensino che la mancanza di un senso definitivo non merita ulteriore indagine non significa necessariamente che liquidino la vita come "priva di senso". Forse più semplicemente non ritengono valga la pena di approfondire più di tanto l'argomento (oppure non si sentono in grado di farlo, non tutti hanno la vocazione dei filosofi!)e si rimettono con fiducia al comune destino di salvezza.

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  2. se vi interessa approfondire il tema della colpa e del concetto di "divenire" di Dio, vi segnalo il ciclo di incontri che si terrà a novembre alla Casa della Cultura di Milano, dal titolo IL PROBLEMA DEL MALE - Le colpe degli uomini e le imperfezioni della creazione nella tradizione cristiana. Il primo incontro avrà luogo il 4 novembre, alle ore 18, con Luciano Manicardi e Antonella Parigi, sul tema "Il male e l'umana impotenza".

    Daniela

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